R 26/9/19 COLTELLI NELLE GALLINEAdelio Rigamonti2019-09-30T18:45:52+00:00
TEATRO FRANCO PARENTI
COLTELLI NELLE GALLINE
25 settembre – 20 ottobre 2019
di David Harrower
traduzione Monica Capuani e Andrée Ruth Shammah
regia Andrée Ruth Shammah
con Eva Riccobono – Giovane Donna Maurizio Donadoni – Pony William Pietro Micci – Gilbert Horn
scene Margherita Palli con la collaborazione di Marco Cristini
luci Camilla Piccioni | costumi Sasha Nikolaeva | musiche Michele Tadini | video Luca Scarzella
collaborazione artistica Isa Traversi | assistenti alla regia Beatrice Cazzaro, Lorenzo Ponte
assistente scenografo Katarina Stancic |assistente video Anna Frigo
direttore di scena Alberto Accalai | macchinista Paolo Roda | elettricisti Enrico Fiorentino, Domenico Ferrari
fonico Matteo Simonetta | sarta Caterina Airoldi
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti in collaborazione con gli studenti del Triennio
FOYER
Visto da Roberta Pasetti al Teatro Franco Parenti il 26 settembre 2019
COLTELLI NELLE GALLINE
UN BEL MESSAGGIO APPESANTITO DALLA MACCHINA TEATRALE
Andrée Ruth Shammah cura la regia del testo di Harrower, Kinves in hens, in scena col titolo di Coltelli nelle galline. Elemento fondamentale – che spesso eccede e copre il testo così come travalica la regia – è la scenografia: sul palco del Franco Parenti (nel foyer trasformato in sala per l’occasione) compaiono elementi mobili, ricostruzioni in scala degli ambienti della storia e riproduzioni (anche con l’uso di stampanti 3D) di alcuni “personaggi”: i cavalli e la moglie cavalla. Moglie cavalla è il nome più caratterizzante del personaggio principale (Eva Riccobono, che non sgarra), una femmina non ancora donna che scopre le parole, scopre le cose e scopre sé stessa. Dalla situazione iniziale, in cui assistiamo alle giornate di una coppia di neo-sposi, dove lei e Pony William (Maurizio Donadoni che interpreta il marito in maniera scarsamente convincente) si alternano nella definizione di una situazione che dovrebbe essere statica – la moglie “scema” non deve fare troppe domande – ma che ha in sé una spinta emancipatoria non solo contro convenzioni sociali ma a favore anche e soprattutto della vita attiva, che è miglioramento e scoperta. Sarà la comparsa del sensibile mugnaio Gilbert (Pietro Micci), figura antitetica al marito padrone e traditore, che farà finalmente rompere l’elastico già teso fino al limite: sarà grazie alle sue rivelazioni che Moglie cavalla prenderà le redini della sua esistenza, trovando le parole per liberarsi dalla sua schiavitù.
Un bel messaggio appesantito dalla macchina teatrale, dove viene appesantito sia il testo – che risulta fin troppo impersonale nella prima parte – sia la recitazione: con i continui spostamenti degli attori, che già nella recitazione sono voluti robotici, e degli oggetti di scena, ci si perde nell’insensatezza dei movimenti eccessivi e inutili, dimenticando che Harrower stava cercando un’esattezza espressiva che rivelasse la Verità. In questo caso si è rimasti alla confusione del punto di partenza. Eccessi eccessi eccessi invece che labor limae: nella regia, nella recitazione e nella scenografia.
Roberta Pasetti
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