Per la ripresa al Teatro Elfo Puccini, Sala Shakespeare, fino al 25 marzo di Collaborators di John Hodge per la regia di Bruno Fornasari riproponiamo la recensione pubblicata su queste pagine nella stagione 2016/17 in occasione della prima rappresentazione avvenuta al Teatro Filodrammatici nel novembre 2016.
COLLABORATORS
Di John Hodge – Regia di Bruno Fornasari
TRA IL MOSTRO E L’UOMO C’È IL TEATRO
Al Teatro Filodrammatici fino al 4 dicembre è di scena Collaborators, un’amara ma assai godibile commedia di John Hodge con la quale si è accesa una delle candeline per la torta dei duecentoventi anni di Accademia e Teatro.
Mi piace dire subito che in presenza di Collaborators ci si accorge subito che, contemporaneamente ad Accademia e Teatro, da dover festeggiare, cosa che ha fatto il pubblico della prima, vi è lo spettacolo stesso. Assieme allo spettacolo c’è da festeggiare, forse meglio”ringraziare”, il coraggio del Teatro di mettere in scena uno spettacolo così ricco di suggestioni comunicative e visibilmente costoso. Al Filodrammatici ho visto il “teatro” che per i guasti economici del nostro Paese è dato raramente a vedere.
Il testo di Hodge, che prende spunto da un episodio vero accaduto nel ’39 nella Russia stalinista, quando fu chiesto a Bulgakov, già in odore di eresia controrivoluzionaria, di scrivere un testo teatrale per i sessant’anni che il dittatore sovietico avrebbe compiuto da lì a poco.
Il testo di Hodge, l’immediatezza della lingua della traduzione e la regia brillante di Bruno Fornasari, è centrato sul sempre attuale contrasto tra potere e cultura, tra regime e creatività.
L’argomento aspro viene trattato, soprattutto nella prima parte, con frizzante leggerezza e spesso suscita risate anche grasse a scena aperta. L’azione scenica si svolge spesso anche in platea. Sul palco la bella duttile scena di Erika Carretta è, di volta in volta, tetro appartamentino, che i Bulgakov condividono con altri inquilini segnati quasi visivamente dalle ristrettezze economiche, studio sotterraneo di Stalin, gabinetto medico, palco per la messa in scena del Molière di Bulgakov e per le prove del testo richiesto per il compleanno di Stalin: basta spostare un tavolo, aprire un’anta d’armadio, far scorrere una tenda e tutto si sistema. In platea il luogo della regia degli spettacoli messi in scena o provati da Bulgakov.
Dopo un inizio quasi alla Chaplin per sottolineare il sogno incubo di Bulgakov, inseguito e preso da Stalin, con tanto di luci stroboscopiche che ne rafforzano l’impatto, tutto si muove a ritmi frenetici in cui emerge una recitazione sempre collettiva e corale in cui si esaltano le individualità di ciascuno dei numerosi interpreti (quattordici!). La prima parte scorre leggera, veloce con i tempi esatti della commedia e si conclude con un tutti seduti attorno al tavolo per festeggiare il successo- resa di Bulgakov. Nella seconda parte che si apre sempre con i festeggiamenti dello scrittore si cambia ritmo, si mostrano risvolti più drammatici del confronto potere e creatività fino alla tragica conclusione. Il filo conduttore che sottende a tutta la narrazione si dipana a partire da una telefonata in cui Stalin stesso chiederà d’incontrare l’autore per offrirgli aiuto per uscire da una preoccupante crisi creativa in cambio “soltanto” di aiutarlo a sbrigare pratiche “semplicemente” burocratiche. Collaborators, appunto.
La regia accorta e scrupolosa confeziona, come già detto, un prodotto corale godibilissimo e ogni soluzione è congrua e mai sovrabbondante. Fa d’esempio a ciò la presenza del regista Fornasari per quasi tutta la durata dello spettacolo, interpretando una sorta di longa mano del potere, di Stalin stesso, osservatore in disparte, muto: è colui che supporta lo stesso Stalin a tessere la ragnatela che imbriglierà la creazione artistica russa e condurrà tutte le repubbliche sovietiche nelle mani del dittatore. Solo alla fine Fornasari/uomo dei servizi segreti prenderà la parola per evidenziare in pochissime battute nere e ciniche il succo dell’intenso testo di Hodge e lo stesso Fornasari nel programma di sala scrive: “Sorridiamo del ghigno guascone del contadino diventato leader supremo, mentre gli effetti della sua politica appaiono inevitabili danni collaterali, dettati dalla ragion di stato che incombe sui non eletti, i non delegati a percorrere le tortuose vie del Governo”.
La compagnia attoriale, nonostante io abbia assistito ala prima, è parsa quasi perfettamente già rodata, tutta ad altissimo livello nella frenetica girandola di personaggi, ruoli ed emozioni imposta loro dalla regia. Tutti bravi. Solo una riga per sottolineare la maiuscola interpretazione di Alberto Mancioppi nel ruolo di uno Stalin infido e perverso dai modi spesso falsamente bonari.
Spettacolo da non perdere.
Adelio Rigamonti
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok